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ARCHEOCHICCA (LV) - LA METOPA DI PAESTUM

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CERCOPI PESTATI
ERACLE DIVERTITO
ZEUS INESORABILE

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE
DI PAESTUM, SALERNO

di Sergio Murli
Santuario di Hera Argiva. Stupenda ed affascinante storia, pervasa in noi da struggente malinconia, davanti all’immagine di un mondo inesorabilmente perduto. Erano campi e prati verdi, punteggiati, come immense margherite da nivei templi ed edifici di ricovero e ristoro per pellegrini e visitatori; vicino ad un fiume che trasmetteva pace e frescura, protetto com’era da alberi generosi  nel riparare i viandanti in arrivo ai luoghi sacri. 

Pensate che profonda emozione per Paola Zancani Montuoro, giovane studiosa napoletana che, con le sue iniziali intuizioni, convinse all’esplorazione, Umberto Zanotti Bianco, torinese, poi compagno d’avventura, che avrebbe segnato la loro intera vita di archeologi. Lui era un nobile che ben spendeva le sue ricchezze, fondatore della Società Magna Grecia; era un vero mecenate.

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Avevano visitato il luogo, percorrendolo meticolosamente con come una guida le parole di Strabone: “… dopo la foce del Sele, la Lucania e il Santuario di Hera Argiva, fondato da Giasone e vicino a cinquanta stadi, Poseidonia … “ e, come uniche compagnie nelle paludi “… mandrie di bufali e torme di uccelli migranti…” e, aggiungiamo noi, non detto forse per pudore, il prosaico assalto di zanzare, pulci, ragni, e simili bellicosi e fastidiosi insetti. 

Ma il risultato fu clamoroso, c’era il Santuario, era lì; il clamore appunto, leggiamo, talmente sonoro che, arrivato a Roma, suonò fastidioso al regime fascista, allora graziosamente imperante, che spingeva in ogni direzione per un’unica meta, l’esaltazione della romanità – del tutto condivisibile – ma non poteva certo, essere a danno di meravigliose scoperte come questa, miracolo della civiltà greca…

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Sapete i nostri Ricercatori come ovviarono? In un modo altrettanto valido: “nascondendo” le spese sostenute, coperte da donazioni di innumerevoli Studiosi sparsi per il mondo, a dimostrazione che le persone civili e lungimiranti, anche allora, e forse più di ora, erano merce reperibile. Risultato, caso forse unico, le loro spese per i lavori risultarono irrisorie, inferiori alla realtà; e la scoperta era salva.

La storia di questo sito è affascinante; è molto cambiata dall’antichità: appariva allora, com’era nei canoni, un luogo sacro, servito da un largo corso d’acqua navigabile, protetto da una laguna e da una sapiente distribuzione di alberi ad alto fusto.

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Nel VI secolo a. C. giunsero qui quegli Achei che, probabilmente un secolo prima, avevano fondato Sibari. Questo approdo sarebbe stato indispensabile per ampliare il già importante rapporto commerciale con i mercanti etruschi, ben collocati sul territorio.

La storia dettagliata di questo santuario con le fasi costruttive e di crescita, anche di importanza, in questo luogo per certi versi “ostile”: avamposto divino di impronta greca, su un territorio italico a tutti gli effetti, sorprendentemente tollerata dalle popolazioni locali, potrà essere, gentili Lettori, motivo di ulteriore interesse, consultando la pubblicazione del MIBAC, Province di Salerno, Avellino, Benevento, Regione Campania e Azienda di Soggiorno e Turismo di Paestum: “Santuario di Hera Agiva alla foce del Sele” – dove potrete trovare una discreta bibliografia sull’argomento .

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Noi, in poche parole, aggiungeremo che l’area inizia a ingrandirsi da semplice altare per sacrifici a costruzioni  per la divinità, e, sempre nel VI sec. a. C. , prende piede il progetto per un grande tempio, l’hekatompedon, che, come dice la parola greca, significa “con le misure di cento piedi lunghezza per cinquanta”.

È questo edificio che dà inizio alla storia affascinante delle metope scolpite con soggetti mitologici riconoscibili (allora con difficoltà) sistemate con cura sui lati del tempio, ma ritrovate sparse, riutilizzate in costruzioni che non erano quella consone al significato originario e spesso deposte nel terreno, dimenticate nei secoli e “lette” con fatica ora in un contesto e una sequenza difficili da interpretare, senza una profonda applicazione.

Potete vedere nel grafico, fornito cortesemente dal Museo, la disposizione iniziale delle metope lasciate intorno alle fondamenta dei precedenti fabbricati: è chiaro quale studio approfondito ha poi portato ad una collocazione logica ed a una lettura altrettanto coerente.
Ma, molto presto quel progetto fu sostituito da uno più grandioso, si trattava di una splendida costruzione con ben otto colonne  sul lato corto, sormontato da un maestoso frontone; edificio che conserva e protegge l’originario altare, con ancora le ceneri di quegli anni.

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È bene ricordare che il luogo ora ha nome Poseidonia, certamente in onore del dio marino Poseidone. Poi, qualche secolo dopo, arrivano i Romani, che, come loro costume,  rispettarono il luogo, ampliandolo e modificando ciò che, ai loro occhi, strideva con la latinità: mai distruggendo, magari occultando e di fatto proteggendo.

Poseidonia era un nome già lontano; Paestum, derivazione latina da vecchia denominazione locale, fu, a tutti gli effetti il nuovo termine; e lo è tuttora. Vi presentiamo una moneta del periodo greco ed una coniata dopo la conquista: come vedete, i vincitori qualcosa avevano cambiato; ma resta la solennità dei soggetti. 

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Tornando alle metope, pensate, sono più di settanta quelle recuperate nel corso degli scavi, ripetuti e continuati in più epoche e in vari punti attorno a quello che appare il nucleo principale: sono un libro spalancato sui miti dell’antichità classica, purtroppo con le “pagine” sparse, simile all’altrettanto importante retaggio di Selinunte (se volete, documentateVi, è sempre cosa saggia). Una quarantina, riconoscibili per il colore giallastro dell’arenaria locale, frutto di artigiani del luogo, ci narrano le imprese degli eroi che hanno popolato i nostri sogni adolescenziali; il nostro vagheggiare su Ulisse, Achille, Oreste, Giasone e, guarda un po’, Eracle l’invincibile. Ma l’elenco è lungo, molto lungo…

Il ritrovamento negli anni successivi fino ad oggi, con addirittura gli indizi e i resti di fondazione di un edificio sacro più antico, stimolano ad approfondire una fonte di sapere che sembrerebbe ineusaribile.

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Già, come al solito, sorge la domanda: ma la chicca?
È la metopa che raffigura Eracle con i Cercopi appesi, perciò, pur sapendo della preparazione eccellente dei nostri Lettori, per qualcuno un po’ pigro e ancora con il pensiero alle vacanze estive, irrimediabilmente lontane, ci permettiamo una ripassatina.

Le METOPE,  in poche parole nella trabeazione dorica, sono lo spazio quadrangolare tra due triglifi, lasciato aperto in origine, poi colmato con una lastra di qualsivoglia materiale, dipinta o decorata con bassorilievi; famose da noi quelle di Hera Argiva e quelle di Selinunte e soprattutto ad Atene, quelle del Partenone e del Museo di Olimpia. Erano dunque una specie di quadretto animato, con l’immagine di una storia da raccontare.

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La ripassatina per i TRIGLIFI recita: nel tempio greco, elemento del fregio dorico alternato con le metope, costituito da una lastra rettangolare di terracotta o di pietra, scanalata nel senso dell’altezza e in origine colorata di nero o blu scuro.

Ed eccoci alla chicca del mese, maturata alla vista della magnifica metopa che ci racconta di Eracle senza pace e… disturbato nel sonno. I CERCOPI , in greco kèrkopes, erano due (mitici) fratelli gemelli, briganti, di alta statura e grande forza che depredavano i viaggiatori. Ebbero la malaugurata idea di attaccare Eracle, addormentato, alla Termopili: così indifeso, così apparentemente innocuo; ma furono bastonati sanguinosamente, presi prigionieri, incatenati e trasportati, impacchettati, su una spalla, appesi a una trave a testa in giù.

Abbiamo rappresentato nel disegno del titolo Eracle in atteggiamento “eroico” – i Cercopi un po’ meno – mentre cattura i due manigoldi, li mette in catene e li trascina verso un destino buio e, come umani, tristemente infausto.

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Secondo i poeti comici le loro smorfie e i loro lamenti piagnucolosi, con autocommiserazioni di ogni tipo, anche per la miseranda posizione, con il volto a pochi centimetri dal terreno, ondeggianti e sballottolati, con aggiunta, lungo la via, di ulteriori e frequenti bernoccoli, divertirono tanto l’Eroe che, dopo essersi fatto un sacco di risate, messo di buon umore, li lasciò liberi di fuggire lontano; con la speranza – probabilmente illusoria – che, redenti, magari a causa delle terribili botte prese, cambiassero… mestiere.

Non così Zeus che, severamente ligio ai diritti e doveri degli umani – non li perdonò, infatti furono da lui trasformati in scimmie e confinati nelle isole Pitecuse, oggi note con il nome di Ischia e Procida.

Da qui cercopitechi, genere di scimmie africane, particolarmente diffuse nelle regioni più calde di questo continente. Era conosciuta una specie chiamata dagli antichi “scimmia di Saba” e spesso rappresentata sui monumenti degli Egizi.
Scenetta ghiotta da raffigurare, i Cercopi infatti, appaiono frequentemente nell’atto di essere portati sulla spalla di Eracle; i primi lavori sono del VI sec. a. C.: due quadretti, alcune opere bronzee,  le suggestive metope da Selinunte e dal santuario del Sele, chicca di questo mese; e nella ceramica attica a figure nere, più raramente in quella a figure rosse, vedi il cratere di Monaco, nello stile severo dell’epoca.

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È giunto il momento di illustrare ERACLE, in greco Heraclès (gloria di Hera; da Hêra e klèos, gloria), era la personificazione della forza e del valore. I mitografi antichi, seguiti dai moderni, gli hanno attribuito origini diverse, ora semitiche, Melqart, ora dall’Argolide e doriche, fino a quelle tebane e cretesi, facendolo protagonista di vicende complesse e spesso contraddittorie. La tradizione più comune e diffusa è quella che troverete su precedenti chicche; figlio di Zeus e Alcmena, moglie di Anfitrione, con le vicende che seguirono, culminate nelle dodici fatiche e che gli procurarono l’immortalità, intese nell’interpretazione mistica come le opere dell’anima per elevarsi alla divinità.

Molte altre imprese Eracle condusse a termine. Armato e girovagando per tutte le terre conosciute, sterminò di tutto, compresi i briganti Cercopi di cui parliamo – scritto del mese – a proposito delle metope dell’Heraion, ora a Paestum. 

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Ebbe molti rapporti d’amore, sempre esasperatamente avventurosi, si adattò a servire come schiavo Onfale, regina di Lidia. Però sposò Deianira, figlia di Eneo, re di Etolia, per la quale uccise il pretendente Acheloo e poi  Nesso che la insidiava. Ma presto cambiò idea: si innamorò di Iole, figlia di Eurito, signore di Ecalia, e, per averla, ne uccise il padre e i fratelli e decise di portarla come prigioniera nella sua casa.

Informata da Lica delle intenzioni… esuberanti del marito, Deianira gli inviò in dono la tunica avuta dallo spasimante, poi massacrato Nesso, che riteneva in potere di restituire come un filtro magico, l’amore perduto  di Eracle, ma che era a sua insaputa imbevuta di succhi velenosi e mortali anche per un gigante semidio.

Eracle, sentendosi vicino alla fine, fece innalzare una pira sul monte Eta e vi si gettò sopra in un bagliore di fiamme e vapore; ma questa è storia che Vi abbiamo descritto in precedenti chicche, dunque è superfluo tornarci.

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Il mito di Eracle alimentò per molto tempo e in misura notevolmente maggiore di quelli di Giasone e di Teseo, gli ideali di vita eroica e virtuosa; servì di stimolo ai giovani greci per un’esistenza operosa e presentò nell’eroe  l’immagine dell’uomo padrone di sé e del proprio destino.

Popolarissimo in Grecia, penetrò in Italia con tutte le sue genuine caratteristiche, mentre nella Magna Grecia e nella Sicilia venne associato con le divinità infernali e in Asia con Dioniso. Singolare fortuna ebbero i suoi miti nel Medioevo e in età moderna.

Molto ancora ci sarebbe da dire; ma per il Lettore uscito… dall’estasi dell’estate – perdonateci la licenza – questo può bastare. Si è tentato di rendere chiaro ai visitatori che la creazione del Museo è frutto del desiderio di custodire al sicuro i preziosi reperti, abbondanti, per l’importanza del sito archeologico; mentre il santuario di Hera appare “visibile e notevole”, poco distante. 

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Infine, nella sede espositiva, detta “Museo Narrante”, si  raccontano le origini del Santuario con filmati, video e tutto ciò che la moderna tecnologia permette.

Grazie alla sensibilità e alla perizia tecnica dei Curatori, Hera sopravvive nelle nostre menti. Sostenute dall’inesausta fantasia che ci aiuta a vivere per qualche istante in quel mondo incantato e per certi versi ingenuo e bellissimo. Istanti che possono essere corroborati dalla visita a questi luoghi, desiderosi di raccontarci storie affascinanti.

DOVE SI TROVA. Il Museo Archeologico Nazionale di Paestum (Sa) si trova in Via Magna Grecia 918, tel. 0828 811023, sito web www.museopaestum.beniculturali.it 

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CREDITI. Alcuni stralci, virgolettati, e alcune immagini sono una gentile concessione museale, compreso l’ultimo invio, il grafico; le altre sono una scelta redazionale. Il disegno del titolo è di Sergio Murli. 

RINGRAZIAMENTI. Vanno principalmente a coloro che dal Museo hanno partecipato ai nostri sforzi, favorendoci in ogni maniera consentita, permettendoci di definire ogni dettaglio; e dimostrando massima e lodevole competenza.
Inoltre, nonostante il clima, la professoressa Vallone è stata  irreprensibile ed efficiente nel coadiuvarci.
 
CONCLUSIONI. La speranza è di essere stati sufficientemente chiari nell’illustrare i parallelismi Santuario – Tempio e Poseidonia – Paestum. Ricordiamo che il nostro ruolo è quello di presentare i risultati degli Studiosi, non certo quello di sostituirci a Loro. 

Buon ritorno alla normalità.

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