ARCHEOCHICCA (LIV) - IL DIADUMENO LUCANO

VENUTO DAL PASSATO
VOLATO NEL FUTURO
E TORNATO A CASA
MUSEO ARCHEOLOGICO
NAZIONALE, VENOSA (PZ)
di Sergio Murli
Gentili Lettori, il silenzio e l’assoluta indifferenza; senza una risposta, quella che fosse, ma una risposta; almno finora non ci è giunta: abbiamo inviato richiesta con email a nostra firma e con intestazione cittamese.it il giorno 15 giugno, chiedendo, se possibile, una cortese sollecitudine nell’inviarci, come sempre facciamo, il materiale necessario per la chicca del mese. Pubblichiamo a fine mese di giugno, il pezzo di luglio, sapendo che le vacanze male convivono con certi scritti pesantucci.
Iniziamo in modo inconsueto; sono molti anni, composti da ben cinquantatre uscite mensili, esclusi gli agosti di meritato riposo comune, che le innumerevoli Sedi museali, statali e civiche, Poli e Soprintendenze, ci onorano della loro approvazione e collaborazione, frutto di consapevolezza che il nostro umile lavoro, ovviamente senza compenso, né lucro di ritorno, è volto al comune desiderio di ben propagare la Conoscenza e le bellezze dei nostri Siti archeologici.

Iniziamo in modo inconsueto; sono molti anni, composti da ben cinquantatre uscite mensili, esclusi gli agosti di meritato riposo comune, che le innumerevoli Sedi museali, statali e civiche, Poli e Soprintendenze, ci onorano della loro approvazione e collaborazione, frutto di consapevolezza che il nostro umile lavoro, ovviamente senza compenso, né lucro di ritorno, è volto al comune desiderio di ben propagare la Conoscenza e le bellezze dei nostri Siti archeologici.

Questa volta no, perlomeno non nei tempi richiesti dalle esigenze pre estive: opereremo autonomamente con i dati raccolti cercando di fare del nostro meglio per mettere su un servizio almeno decente e convincente. però non disperiamo: prima o dopo, siamo convinti che arriverà una risposta, anche se tardi per il nostro pezzo che sta uscendo senza ritardi; come sempre.
Perciò cari amici Lettori, se in questa chicca troverete insoddisfazione, perdonateci, non è tutta colpa nostra.
Perciò cari amici Lettori, se in questa chicca troverete insoddisfazione, perdonateci, non è tutta colpa nostra.
Dunque, considerando di essere liberi cittadini in un libero Stato civile, e per di più nella qualifica di giornalisti iscritti all’Albo Nazionale, ci “arroghiamo” il diritto di scrivere un articolo sull’oggetto di questo Museo, come sempre ricordando che in fondo al nostro scritto, in bella evidenza, menzioneremo con i crediti ogni stralcio, tratto da altrui lavoro; del resto, gli Studiosi sono loro, rappresentando noi la categoria dei “cronistorici”. Anche se questa volta, non sapremmo proprio chi ricordare e chi ringraziare, a parte qualche riga da Wikipedia.


Tutto inizia un bel giorno del – crediamo – 1956, con la fortuita e casuale scoperta nel terreno, nel Potentino, durante lo scavo della fondamenta di un edificio privato.
Se ne parlò molto e con entusiasmo; era qualcosa di magnifico e di inatteso, se non altro per il valore storico e archeologico di un pezzo che entrava di diritto nella Storia dell’arte antica, con notizie che la portavano in linea, questa testa di bianco marmo, con precedenti copie sparse nel mondo, nei musei che contavano. Poi parleremo un po’ di copie e originale; e del prestigioso artista che dette inizio con il suo capolavoro a queste infinite serie di repliche.
Se ne parlò molto e con entusiasmo; era qualcosa di magnifico e di inatteso, se non altro per il valore storico e archeologico di un pezzo che entrava di diritto nella Storia dell’arte antica, con notizie che la portavano in linea, questa testa di bianco marmo, con precedenti copie sparse nel mondo, nei musei che contavano. Poi parleremo un po’ di copie e originale; e del prestigioso artista che dette inizio con il suo capolavoro a queste infinite serie di repliche.
Comunque, anche se clamoroso come ritrovamento, erano tempi nei quali bastava fare un buco nel terreno per entrare in un’altra epoca; prodigio che tuttora si ripete: è questo il nostro… petrolio.
Dicevamo che se parlò molto, ma il terribile urlo di dolore, che arrivò poco tempo dopo, scosse fin dalle fondamenta un sistema fatto spesso, anche se non sempre, di pressappochismo, superficialità ed essenzialmente colpevole indolenza: il Diadumeno era stato rubato, riteniamo probabilmente dal magazzino – deposito che provvisoriamente lo custodiva e certamente su commissione di qualcuno, che già sapeva come collocarlo e quanto ci avrebbe ricavato.


Sono poi passati una quarantina di anni e, sotto il fermo e deciso impulso dell’allora ministro Rutelli, romano e lazialissimo, il capolavoro è tornato a noi; era finito nel Paul Getty Museum, negli Stati Uniti, in California, a Malibu; magari in America non ne sapevano niente del furto: sarà stato incauto acquisto, però… E, dopo l’esilio americano, ha rivisto il sole del Mediterraneo, al quale era abituato da millenni.
Alla cerimonia della restituzione hanno partecipato le autorità civili del momento e, in modo particolare, i Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico, severi angeli custodi del bene più prezioso delle nostre Terre, che ne hanno curato il ritorno a casa.
Da allora, coccolato e curato in ogni particolare, fa bella mostra nelle vetrine del Museo Archeologico Nazionale di Venosa.


Ora, un po’ di chiacchiere, ricavate in giro; intanto chi è e perché questo nome. È una magnifica opera rappresentante una statua di atleta, capolavoro tra altri dello scultore Policleto della seconda metà del V sec. a. C., poi ne parleremo. Deve il suo nome al diadema che gli circonda la fronte e che varia in parte nelle altre copie conosciute.
È stata scolpita (l’originale) si pensa ad Atene, città frequentata da Policleto, in un periodo della sua vita, anche di questo poi parleremo.
È stata scolpita (l’originale) si pensa ad Atene, città frequentata da Policleto, in un periodo della sua vita, anche di questo poi parleremo.
Di copie celebri, integre e frammentarie, se ne hanno un bel po’ per il mondo, anche perché anticamente erano ambite nelle corti e nelle alte classi sociali, dunque era vanto arricchirne le proprie ville.
Se ne trovano ora ad Atene, Londra, New York, Parigi; da noi a Roma, Torino e, infine, la testa di cui parliamo.


Dal punto di vista artistico, in molti si sono espressi e i toni portano a un dolce sentimento di pace per la bellezza che emana, volendo aggiungere qualcosa si può dire che la parola significa, dal greco diadúmenos, “che si cinge la fronte (con la benda della vittoria)”.
Un po’ di collaborazione… inconsapevole ci arriva da uno stralcio di Wikipedia che ringraziamo qui e riportiamo:
“Un giovane atleta nudo solleva le braccia per allacciarsi in testa la benda della vittoria (la tenia).
“Un giovane atleta nudo solleva le braccia per allacciarsi in testa la benda della vittoria (la tenia).
Esemplare è l'applicazione del chiasmo, ovvero del ritmo incrociato capace di dare estrema naturalezza alla rappresentazione. La gamba destra infatti è tesa e corrisponde alla spalla sinistra in maggiore tensione; l'arto inferiore sinistro invece è flesso e si collega alla spalla destra abbassata: ogni tensione trova quindi la sua adeguata contrapposizione, smorzandosi sul lato opposto in un rilassamento. L'arco del bacino inoltre si trova ad essere inclinato verso la gamba flessa, ed è opposto allo spostamento delle spalle.

Ne consegue un dinamismo trattenuto, che annulla ogni impressione di staticità, a differenza dei precedenti della statuaria arcaica e severa. … L'insieme è potente e muscoloso, ricco di sfumature, con una testa dalla struttura robusta e dotata di un'espressione medativamente sospesa. Appare esaltata la mimesis, cioè il naturalismo basato sull'imitazione del vero, equilibrato però dalla componente ideale.”

Ne consegue un dinamismo trattenuto, che annulla ogni impressione di staticità, a differenza dei precedenti della statuaria arcaica e severa. … L'insieme è potente e muscoloso, ricco di sfumature, con una testa dalla struttura robusta e dotata di un'espressione medativamente sospesa. Appare esaltata la mimesis, cioè il naturalismo basato sull'imitazione del vero, equilibrato però dalla componente ideale.”
Non si può ignorare la figura di POLICLETO (Polýkleitos), scultore del V secolo, detto il Vecchio. Del Giovane non sa praticamente nulla, era attivo nel IV sec; secondo Pausania era l’autore della tholos e del Teatro di Epidauro, ben conosciuti dagli antichi.
Dunque il Vecchio, nativo quasi certamente di Argo – ve ne offriamo un’immagine della città – , anche se alcuni dicono di Sicione. La sua vita spicciola è poco conosciuta; soggiornò ad Atene, tra il 440 e il 430 a.C. , non se ne conoscono gli ultimi anni, sia artistici che di vita.
Formatosi alla scuola dei bronzisti argivi, fu fedele, quasi senza eccezioni, ad opere di bronzo, ricordato ampiamente da Plinio e a noi note in buon numero, attraverso copie marmoree di età romana, che hanno permesso di seguire idealmente la sua evoluzione artistica.

Dunque il Vecchio, nativo quasi certamente di Argo – ve ne offriamo un’immagine della città – , anche se alcuni dicono di Sicione. La sua vita spicciola è poco conosciuta; soggiornò ad Atene, tra il 440 e il 430 a.C. , non se ne conoscono gli ultimi anni, sia artistici che di vita.
Formatosi alla scuola dei bronzisti argivi, fu fedele, quasi senza eccezioni, ad opere di bronzo, ricordato ampiamente da Plinio e a noi note in buon numero, attraverso copie marmoree di età romana, che hanno permesso di seguire idealmente la sua evoluzione artistica.

Ad Atene, Policleto partecipò in gara con Fidia, Cresila, e Fradmone al concorso per l’Amazzone del santuario di Efeso, gara di cui risultò vincitore. L’opera è accostata alla più celebre statua del decennio ateniese, il Diadumeno, dove la ricerca artistica del grande scultore si esprime qui con una maggiore morbidezza di tratti e una più concreta espressività.
Policleto, come teorico dell’arte, affronta prima d’altri una ricerca ed una soluzione, destinate ad avere un’importanza nell’evoluzione della statuaria greca, con l’affermazione di un canone tratto dall’osservazione naturale e risolto attraverso un complesso di rapporti numerici e masse sul piano.
La sua arte fu grandemente apprezzata, per la possente bellezza e l’equilibrio della figura umana, rafforzati dai riflessi luminosi delle sue opere bronzee.


ARGIVO. Da Argo, città greca nel Peloponneso, considerata dalla tradizione la più antica: se ne faceva risalire l’origine al 2000 a.C., o da Argolide, Nomo greco storicamente nato dall’insediamento degli Achei nel 1600 a.C.
VENOSA. Come sapete, è città della Basilicata, in provincia di Potenza, in media collina dell’Appennino lucano, alla sinistra di un affluente dell’Ofanto. Ha dato i natali al poeta Quinto Orazio Flacco, detto appunto il Venosino.
È l’antica Venusia, città dell’Apulia, nei pressi del confine con il Sannio e la Lucania. Quasi sicuramente fondata dai Peucezi e poi occupata dai Sanniti. Ne presentiamo due monete di bronzo; nella prima, oltre alla conchiglia, nell’altro lato sono rappresentati tre crescenti lunari, e la caratteristica sigla VE; nella seconda moneta una magnifica testa di Zeus con cinque globetti e nell’altro lato un’aquila con la consueta VE.
Nel 291 a.C. fu conquistata dai Romani e trasformata in colonia latina. Rimase leale a Roma durante la seconda guerra punica, accogliendo e assistendo i superstiti di Canne; si ribellò invece durante la guerra sociale. Nel 43 ricevette una colonia di veterani.


Questa è la parte inerente al periodo che ci interessa, quello che ha visto e dato asilo, in chissà quale superbo edificio, probabilmente pubblico, alla “nostra” Testa; per ora tanto ci basta.
DOVE SI TROVA. Il Museo Archeologico Nazionale di Venosa è in Piazza Umberto I, 49, tel. 0972 36095, sito web http://www.polomusealebasilicata.beniculturali.it , e-mail
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RINGRAZIAMENTI. Questa volta sono ben poche le persone che hanno collaborato, oltre alla indispensabile Patrizia Vallone e a chi ci ha suggerito, discretamente, il magnifico soggetto assurto a chicca del mese; anzi, a dire il vero non ce ne sono altre, oltre alle poche righe summenzionate. Passiamo oltre.
Naturalmente, siamo pronti a modificare ogni errore (involontariamente) commesso e incrementare di successivi apporti , se fosse confacente, questo modesto lavoro.
CREDITI. Le immagini sono una scelta redazionale; qui ringraziamo gli anonimi generosi. Il disegno del titolo è di Sergio Murli. A proposito del disegno, ci siamo permessi di idealizzare il ritorno del capolavoro da Malibu all’Italia Meridionale, sotto l’ala protettiva dell’Arma. Speriamo di essere perdonati per l’ardire.
CONCLUSIONI. Fa caldo, poche parole: buone vacanze a tutti Voi che ci leggete e, se volete, ci rincontreremo a settembre, ciao.