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ARCHEOCHICCA (LIII) - IL CRATERE A CAMPANA

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SCALTREZZA DI IFIGENIA 
O BONTÀ DI RE TOANTE?

PAVIA, MUSEI CIVICI
DEL CASTELLO VISCONTEO

di Sergio Murli
Abbiamo la ventura di poter parlare di uno dei miti più affascinanti della Grecia classica; quello suggestivo di Ifigenia che tanto ha appassionato fin dal V-IV secolo a.C. a tal punto da giungere fino a noi, grazie al genio di Euripide, che ha trasmesso a drammaturghi di alcuni secoli fa un messaggio tutt’ora valido: ne fanno fede le opere e le loro repliche in giro per il mondo.

È custodita questa chicca amorevolmente nella Sezione archeologica dei Musei Civici di Pavia, nella Sala II; è un reperto di acquisizione non recente, appartenente ad un periodo – fine Ottocento – nel quale lo Stato non aveva ancora possesso, rimanendo, tra l’altro, di proprietà comunale.

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Si tratta di un magnifico cratere a campana che la Tipologia vascolare annovera tra i contenitori ideali per i banchetti ed i convivi, del quale ci sembra che migliore descrizione non potrebbe essere che quella della ponderosa Guida con gli scritti che generosamente ci hanno fornito i Responsabili del Museo e che riportiamo in virgolette come da prassi consolidata:

Il pezzo più significativo della raccolta è un grande cratere a campana attribuibile al Pittore di Iris, un imitatore del tardo stile del Pittore di Lecce, che fu attivo intorno alla metà del IV sec. a.C. e particolarmente interessato a temi di derivazione teatrale. Il fregio figurato è compreso tra due motivi vegetali stilizzati e incorniciato inferiormente da una banda a meandro rettilineo.

Lato A: un giovane, con chitonisco e clamide, elmo a pileo e sandali, viene trascinato con una corda che gli lega i polsi da un altro giovane seminudo (con berretto frigio, clamide e endromides, lancia appoggiata sulla spalla sinistra) verso una donna ammantata, con capo adorno di diadema e velo, che reca nella mano sinistra una chiave, presso un piccolo altare. Lato B: generica “scena di conversazione” tra tre giovani panneggiati.

giu-18 inv. A 646 jpg - CopiaLa scena del lato A è tratta dalla tragedia “Ifigenia in Tauride” di Euripide: Oreste, appena sbarcato nella terra dei Tauri (attuale Crimea) dove è giunto con l’amico Pilade per portare ad Atene il simulacro di Artemide ed ottenere così la purificazione del matricidio, viene fatto prigioniero e consegnato ad Ifigenia, che la dea ha salvato dal sacrificio in Aulide e fatta sacerdotessa tra il popolo dei Tauri di un culto che impone di immolare tutti i forestieri (la chiave che la giovane donna esibisce è appunto quella del tempio di Artemide). La vicenda culminerà nel riconoscimento dei due fratelli concludendosi con la loro fuga – unitamente a Pilade – verso l’Attica. (Macchiadoro 1910; Cambitoglou 1975; Trendall – Cambitoglou 1978).”

Ed ecco anche la scheda tecnica con ogni riferimento possibile, sempre a cura dello stesso Civico pavese: Inventario n° 646 (prec. 830), cratere a campana a figure rosse, altezza cm 36; provenienza Legato Reale del 1892 (Giovanni Carlo Francesco Reale, Conservatore, nominato dagli eredi nel 1874 e rimasto fino alla morte, febbraio 1892), probabile origine fabbrica apula, datazione fine IV sec. a.C. , autore Pittore di Iris, da modello del Pittore di Lecce. Ricomposto da più  frammenti con piccole integrazioni. Seguono bibliografia e documentazione che potrete richiedere alla Sezione Archeologica dei Musei Civici.

Coraggio, ora; proviamo dall’alto della nostra… impreparazione a raccontare Ifigenia, in greco Iphigenéia, stiamo parlando ovviamente di mitologia greca, già ma che cosa è se non la vita, quella di tutti i giorni, quella che è stata guida degli antichi Popoli e naturalmente monito e insegnamento attraverso le sue vicende nel cammino verso la conoscenza; secondo molti la mitologia è preziosa maestra e ammonitrice: ma forse ci stiamo ripetendo.

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Dunque, Ifigenia era la figlia maggiore di Agamennone e Clitennestra. Come sempre in certi casi era una donna bellissima destinata a un futuro luminoso, ma su suggerimento dell’indovino Calcante – da ragazzi quante volte vi è capitato a scuola questo nome? – , la sua esistenza sarebbe drammaticamente cambiata, con il sacrificio della vita in nome di una superiore volontà, di un superiore destino: ah Calcante, Calcante! 

C’è di mezzo la dea Artemide che, arrabbiata con il re padre – qui le versioni sono molteplici: qualcuno dice per l’uccisione da parte di Agamennone di una cerva sacra, altri a causa di colpevoli trascuratezze nell’allestimento di cerimonie in sue onore (i culti allora erano una cosa estremamente seria), altri ancora accusavano si aver sorpreso il re, vantarsi di essere migliore quindi superiore alla dea nel tiro con l’arco; e secondo noi, facendo finta di parlare come se i personaggi in questione fossero reali e con sentimenti terreni, bhe Artemide non l’avrebbe presa bene, anzi molto male; sentirsi criticare in un’arte nella quale era… dea, la caccia, appunto.

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Perciò Artemide si diceva, avesse suscitato forti venti contrari che impedivano la partenza alla volta di Troia della flotta greca all’ancora nella Beozia, in Aulide. Come fare? Tra disperazione e dolore la povera Ifigenia fu condotta in località – chi dice da Ulisse, altri dalla stessa madre Clitennestra – con la scusa di un matrimonio con Achille (riparatore?).

Comunque secondo la versione più diffusa e buonista, fu sottratta al sacrificio con una cerva, dalla stessa Artemide che, dunque era più umana degli uomini.

Ma non a tutti piaceva questa conclusione, infatti molte sono le varianti: personaggio centrale di un ciclo tragico, identificata come Ifianassa dell’epopea omerica; collegata a riti sanguinari alla stessa Atemide nella Tauride, nel Peloponneso, particolarmente a Sparta e da noi nel bosco sacro di Nemi (Diana Nemorensis). 

Naturalmente il personaggio è di indubbio fascino, perché le sue rappresentazioni appaiono numerose, specialmente la divulgazione capillare attraverso le opere dei tragici, diffuse nei teatri e anfiteatri del vasto mondo antico; poi ne parleremo diffusamente.

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La figurazione più antica precedente al V sec. a.C. era probabilmente l’originale pittorico, di scuola di Polignoto a cui risale un dipinto pompeiano, custodito al Museo Nazionale di Napoli.

Il soggetto ricorre in pitture vascolari, greche e italiote, in una serie di urne etrusche, in sarcofagi greci e romani e su gemme incise. Di notevole interesse è a Copenaghen un gruppo scultoreo di Atemide e Ifigenia, forse opera di scuola pergamena del III sec. a. C. e la raffigurazione agli Uffizi nell’ara dell’ultimo re di Sparta, Cleomene III.

Ed ecco un elenco dei tanti che fin dall’antichità classica in un modo o in altri, si sono avvicinati al personaggio, distinguendo tra le due località Aulide e Tauride; vediamo di dipanare nei confini del nostro (scarso) sapere, limitandoci alle più notevoli opere.

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IFIGENIA IN TAURIDE (Iphigenéia he en Táurois “fra i Tauri”) È una delle due tragedie di Euripide (Salamina 484 o 480 a. C. – Macedonia 406 a. C. ) giunte fino a noi e rappresentata intorno al 414. Ifigenia, salvata da Artemide, è diventata sacerdotessa nel paese dei Tauri del culto sanguinario della dea alla quale vengono sacrificati gli stranieri di passaggio; qui giungono Pilade e Oreste in cerca del simulacro di Artemide, necessario per la purificazione del matricidio; vengono scoperti e fatti prigionieri, dopo varie peripezie, Ifigenia ravvisa il fratello e, ingannato il re locale Toante, fugge con lui e Pilade in Attica, portando via la statua purificatrice.

Quasi incredibile a dirsi, è questa la vicenda del cratere a campana di Pavia, con Oreste in catene, pronto per essere sacrificato al cospetto della sacerdotessa che, riconosciuto nel prigioniero il fratello, con questi e Pilade, poi scappa. 
Ricca di motivi ad effetto più che di valori poetici, è comunque il primo dramma di Euripide a lieto fine.
 
IFIGENIA IN AULIDE (Iphigeneìa he en Aulídi) È la tragedia di Euripide giunta a noi sul personaggio, rappresentata postuma nel 405 a. C. Agamennone, ormai rassegnato a sacrificare, secondo la volontà degli dei, la figlia, affinché la flotta greca possa salpare verso Troia, l’ha chiamata in Aulide insieme con Clitennestra, con il pretesto di sposarla ad Achille. Poi pentito, vorrebbe annullare la decisione presa, ma Menelao lo sorprende nel suo tentativo.
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Arrivano nel frattempo madre e figlia che apprendono con orrore la terribile verità. Clitennestra allora si rivolge ad Achille, che promette inutilmente aiuto, perché si sente legato al superiore dovere di comandante e i soldati richiedono con ostinazione il sacrificio per partire una volta per tutte.

Ma in Ifigenia si opera un’inattesa e prodigiosa metamorfosi per cui essa stessa, spontaneamente, offre la sua vita per la futura grandezza della Grecia. Nel finale altro colpo di scena: nel sacrificio, la fanciulla è sostituita da Artemide con la solita malcapitata cerva.

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La tragedia è di notevole valore, soprattutto per la acuta raffinatezza dei sentimenti umani, magnificamente analizzati dall’Autore che qui dimostra tutta la sua sensibilità nel coglierli.

IFIGENIA IN AULIDE, tragedia in versi in cinque atti di Racine (La Ferté-Milon Valois 1626 – Parigi 1699), datata 1674, è accentrata sui rapporti tra Agamennone, Clitennestra e la giovane principessa Erifile, prigioniera dei Greci, che si invaghisce di Agamennone e che si dà da fare perché Ifigenia venga sacrificata agli dei. 

Sventato il piano di Clitennestra per far fuggire la figlia, Erifile si compiace del positivo svolgimento della sua trama, quando, ahilei, l’indovino Calcante svela che anche essa, essendo consanguinea di Elena, è nella stessa situazione di… sacrificabile.

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La tragedia termina con il suicidio di Erifile e la liberazione di Ifigenia. Lunghetta, pesantuccia, ma perfettamente in linea con i canoni del tempo. Racine dimostra anche qui la consistenza del suo operare. 

Ora un corposo spazio merita Chistoph Willibald von Gluck (Erasbach 1714 – Vienna 1787).
IFIGENIA IN AULIDE, tragedia lirica in tre atti su libretto di Le Blanc du Roullet, rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1774, l’opera che si ispira ai principi della nuova concezione melodrammatica, costituisce una delle più alte realizzazioni degli ideali estetici dell’Autore, sintetizzante con felice intuizione i dettami e le conquiste delle composizioni italiane e francesi dell’epoca.

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Sempre di C.W. Gluck, IFIGENIA IN TAURIDE, dramma lirico in quattro atti su libretto di N.F. Guillard, rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1799. Appartenente con Ifigenia in Aulide all’ultimo periodo dell’esperienza artistica dell’Autore e ispirata ai principi della sua nuova concezione melodrammatica; è da considerare come una delle più significative del compositore tedesco. 

IFIGENIA IN TAURIDE (Iphigenie auf Tauris) tragedia di Goethe (Johann Wolfgang von, Francoforte sul Meno 1749 – Weimar 1832), scritta in prosa fin dal 1779 e messa in versi a Roma, durante il viaggio, proficuo sotto più punti di vista in Italia, nel 1787; l’argomento è una sorta di continuazione da Euripide.

Ifigenia, trasportata in Tauride, approfitta del suo ascendente (fascino?) sul re locale Toante per cercare di fargli abolire la crudele usanza di uccidere ogni straniero che avesse la ventura di capitare da quelle parti. Innamoratosi di lei, Toante le offre di dividere il trono, ma ella lo rifiuta sdegnosamente a tal punto che il re, offeso e irritato, ordina di riprendere i sacrifici umani con i due Greci, che la tempesta aveva gettato sulle coste della Tauride e nei quali Ifigenia aveva subito riconosciuto suo fratello Oreste (scena del cratere di Pavia) con l’amico Pilade. All’epilogo del dramma, la sacerdotessa ottiene dal re di poter partire assieme con il fratello e l’amico, generosamente e senza strascichi.

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L’idea fondamentale di questo lavoro è il trionfo della rinuncia, così caro a Goethe assoluto amante dell’opera classica, assieme alla bellezza della poesia greca; e, speriamo non vi dispiaccia se questo è stato il soggetto che abbiamo scelto per il disegno per il titolo; anche se Goethe ha, volutamente, “impastato” il finale…

Riteniamo non sia il caso di abusare della Vostra pazienza, dunque passiamo ad una scarna descrizione dell’attuale “casa” della nostra chicca, parlando un po’del Castello Visconteo del XIV secolo, sede museale di Pavia, acquisito nei primo anni ’30 del secolo scorso e via via modificato e adattato con lungimiranza ed evidente senso artistico con trasformazioni notevolmente funzionali, ancora valide, nonostante la continua acquisizione, anche per ritrovamenti e scavi programmati.

La sezione archeologica si trova a piano terra e nella II sala è presente come detto in altra parte il “nostro” cratere, che ne è ritenuto l’oggetto più importante.
Ma le cose, magnifiche, sono innumerevoli; il suggerimento è: entrate curiosi e ne uscirete affascinati. Buona visita. 

DOVE SI TROVA. I Musei Civici del Castello Visconteo si trovano a Pavia in Viale XI Febbraio 35, tel. 0382 399781, sito web http://www.museicivici.pavia.it , e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.     

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RINGRAZIAMENTI. Sconfinata e perenne gratitudine alla Direttrice, Dottoressa Francesca Porreca, che, con squisita e rara sensibilità, ha compreso il nostro problema – veder vanificato il lavoro di un mese per la cecità di certi Signori, affetti da troppo narcisismo e anacronistico senso di possesso – e dunque, rapidamente coinvolto il Dottor Davide Tolomelli, che ci ha fornito ogni notizia e dettaglio utili.

Da non dimenticare la cortesia di chi con garbo ci ha risposto dal centralino, dipanando ogni perplessità; infine, come obliare il lavoro utile e indispensabile della Professoressa Patrizia Vallone, angelo custode in S.P.E….

CREDITI. Doveroso sottolineare il contributo dei Civici Musei per la Guida e la scheda del reperto e per le immagini fotografiche cortesemente fornite. Altre sono state una scelta redazionale. L'affresco pompeiano si trova al Museo Archeologico di Napoli. Il disegno del titolo è di Sergio Murli.

CONCLUSIONI. Sospiro di sollievo; non pensavamo di farcela in tempo. Ora al lavoro per un’altra Chicca, speriamo sempre interessante e sorprendente. Ciao, a luglio.

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