ARCHEOCHICCA (LI) - OCHETTA PELA' DI MORLUNGO

GIOCATTOLO O VEICOLO
MISTICO PER L’ALDILÀ?
MUSEO NAZIONALE
ATESTINO, ESTE (PD)
di Sergio Murli
Il magnifico rapporto professionale che ci avvicina alla Dottoressa Gonzato, Direttrice del Museo Nazionale Atestino, era inevitabile sfociasse in questo scritto che ci permette di sfiorare un oggetto che soltanto a guardarlo ci pervade di tenera partecipazione, tanto per non usare la parola commozione.
Intendiamo raccontare di questa Ochetta Pelà, poi capirete il perché di questo nome dalla scheda sul reperto, che rappresenta la cinquantunesima chicca della nostra avventura per musei.

Parliamo intanto un po’ di questa magnifica raccolta museale, una delle più importanti d’Italia, perla nella collana dei musei della zona che ben rappresentano la realtà locale, punto fermo della storia della Penisola e documentano le popolazioni di quell’epoca precisa, foriera e precedente delle civiltà villanoviana, appenninica ed etrusca con influenze celtiche a nord e greche da sud: è bene aggiungere che la civiltà atestina si è sempre opposta e con successo ai tentativi di conquista dei pur potenti popoli limitrofi, fino a convivere con gli emergenti Romani; ma di questo ne riparleremo poi.
Dicevamo della Sede. L’interessante è che questa storia rappresenta senz’altro un capitolo ben folto delle vicende che hanno portato alla creazione dell’edificio museale.
Primo merito è stato il desiderio di conservare in loco i reperti che ricordavano il fulgido passato di questi luoghi che ben rappresentano anche se in brillante sintesi la civiltà veneta.


Il Museo è qui dal 1902 ma ha origine nel 1500 e la sua vita è davvero avventurosa, perché frutto dell’inglobamento di un tratto del castello del 1300, edificato su una prima costruzione del… Mille e spiccioli degli Estensi.
Dicevamo della costruzione cinquecentesca ad opera dei veneziani Mocenigo, che hanno dato il nome al complesso museale, teatro nei secoli, più volte e sotto il nome dell’allora Castello Carrarese, di assedi e distruzioni, fino ad essere considerato inutilizzabile e abbandonato.
In epoca moderna si sono intrapresi sondaggi e scavi nell’area interna alle mura del castello, ricerche che hanno dato risultati e reperti; ma infine, lasciati in loco, dopo anni di abbandono, sono lentamente spariti, sul posto sommersi dai rifiuti e dalla negligenza, nel giardino comunale e sotto moderne macerie. Solo negli anni Novanta del secolo scorso per i lavori di ampliamento del Museo è stato messo un po’ d’ordine con sistemazione dei sotterranei e interventi sulla collina, primo sito del complesso estense.


Sembra tutto, ma non è così: questa storia può essere vagliata attraverso più fasi storiche, delizia degli Studiosi che avranno ben copioso materiale su cui muoversi. Intanto noi godiamoci il Museo.
Ed ora eccoci alla “paperella”; la scheda, ampia e corposa fornita, dalla Gonzato racconta di un vaso, naturalmente ornitomorfo, rappresentante un uccello d’acqua, fornito di collo e becco, riconducibile agli anatidi, oche germani e simili, compresi i cigni; particolare delizioso, ha sul dorso un pulcinetto, con funzioni ben chiare e non semplicemente decorative: potrebbe essere un coperchio…
Continuiamo con le parole della Direttrice:
“Si basa su quattro appendici forate dove si inserivano i mozzi delle ruote, rinvenute staccate dal vaso, mentre sul davanti reca una piccola appendice funzionale all’inserimento di una cordicella per il traino. È inoltre dotata di piccole ali plastiche forate per consentire il fissaggio con legacci, forse in materiali deperibili. Sul dorso si trova un’apertura chiusa da un coperchio di forma subtrapezoidale che ora presenta un completamento di restauro a forma ornitomorfa.


Corpo affusolato cavo e coda appena accennata, con decorazione geometrica a cordicella impressa, ancora in parte campita di pasta bianca, fasci di solcature semplici o con partiture a tratti verticali in varie parti del corpo, triangoli campiti a tratteggio e motivi a festone sottolineano entrambi i fianchi e contornano le piccole ali plastiche appena sollevate. Motivi metopali a croce gammata retta e ad angoli retti di tipo villanoviano sul petto e sulla parte terminale del dorso; di particolare rilievo le ruote decorate all’esterno da complessi motivi a stella e con motivo radiato.
Fu rinvenuto mancante di alcuni pezzi e sottoposto a numerosi restauri e integrazioni che hanno indubbiamente falsato le originali linee di fratture.”

Ci preoccupa l’ultima frase, a dimostrazione che il progresso impietoso ha messo a nudo con analisi moderne, i guasti, gli equivoci, i danni, che un restauro, forse frettoloso, tendente a presentare l’oggetto completo(ato) e, per non crearsi altri problemi, che ora vengono fuori senza sconti. Risultato, temiamo, pur dal… basso della nostra competenza, che la “nostra” ochetta si presenti ora con ben altra foggia e ben altra funzione di quelle volute dall’artefice del piacevole anatide. Già, ma quale sarà stata la funzione iniziale?
O forse potrebbe essere stato un peccato di… ignoranza del coroplasta? Mah, ci sembra davvero esagerato che l’artista non conoscesse le fattezze del becco a spatola di questa vasta famiglia di volatili d’acqua. Intanto, ecco le misure: altezza cm 21,5, lunghezza cm 18,5.

Ancora con le parole della Gonzato; ed entriamo in un campo di analisi storico-scientifica che, ovviamente, è oro per i nostri occhi e i nostri sensi:
“Il vaso proviene dalla tomba 2 del Fondo Lachini-Pelà in Morlungo. Si tratta di un complesso molto noto che comprende in realtà, oltre ad un nucleo principale di materiali cronologicamente coerente databile a fine IX secolo a.C., frammenti di vasi e di oggetti diversi compresi in un arco cronologico che va dall’VIII secolo all’età romana, forse provenienti da tombe manomesse e raccolti nell’atto dello scavo, avvenuto nel 1877. Al nucleo di materiali del IX secolo, rinvenuti dentro una semplice fossa, appartengono due ossuari con coperchio, fibule, armille e fusaiole, riferibili a deposizione femminile, e alcuni vasetti miniaturistici, oltre al famoso vaso zoomorfo.

Questo oggetto è sempre stato di difficile interpretazione. Alcuni autori lo definiscono “un carretto giocattolo” e lo attribuiscono a una tomba infantile; in realtà il contesto caotico di rinvenimento non rende possibile definire con certezza se si trattasse di una tomba appartenente a uomo, donna, bambino o a più persone, vista anche la presenza di due ossuari diversi.
Alla fine dell’Ottocento Ghirardo Ghirardini ne diede un valore rituale trovando confronti con incensieri in bronzo a forma di uccello provenienti dall’area villanoviano tirrenica e danubiano-carpatica, ipotesi confermata anche da studi più recenti.


È ritratto in un atteggiamento tipico di alcuni uccelli degli anatidi mentre porta sul dorso il suo piccolo, comportamento che sicuramente si poteva osservare nelle zone paludose attorno ad Este.
Le raffigurazioni di uccelli acquatici siano esse relative a parti del corpo o all’animale realizzato nella sua interezza si ascrivono a un patrimonio simbolico-religioso attestato in ambito centro-europeo e mediterraneo, fino alla metà del II millennio a.C. La presenza di vasi ornitomorfi a carro, fittili o in bronzo, nelle tombe della primissima età del ferro, al di là della loro funzione di vasi-porta profumi che potevano essere utilizzati anche in ambiti di culto domestici, rafforza l’ideologia funeraria connessa con il viaggio ultraterreno, di cui gli uccelli acquatici erano considerati gli interlocutori privilegiati.”

E, chissà, il pulcinetto sul dorso poteva rappresentare il defunto in viaggio verso l’aldilà e in questo caso indicava anche la tenera età del passeggero. E quell’anellino-peduncolo sotto il petto dell’anatra?
Ci si poteva fissare una corda ed ecco che, corredato delle ruote, viene fuori il giocattolo, trainato (trascinato) dal bimbo felice; o, forse, era una bimba? E non potevano averlo messo poi, usando la parte cava come cinerario, farebbero fede i fori – visibili nel disegno speditoci dal Museo, sia sul coperchio che sul corpo dell’anatide – nella sepoltura, nella sua tomba?

Ci si poteva fissare una corda ed ecco che, corredato delle ruote, viene fuori il giocattolo, trainato (trascinato) dal bimbo felice; o, forse, era una bimba? E non potevano averlo messo poi, usando la parte cava come cinerario, farebbero fede i fori – visibili nel disegno speditoci dal Museo, sia sul coperchio che sul corpo dell’anatide – nella sepoltura, nella sua tomba?

È la nostra idea, quella che ci piace. A presto per altre avventure, altre idee.
È ora il momento di qualche spiegazione: non dimenticate il nostro umile ruolo di cronistorico, che scrive ciò che legge e dice quello che “sente” nell’intimo, sperando bene.

ESTE, interessante cittadina del Veneto in provincia di Padova; è situata al limite meridionale dei Colli Euganei, più o meno a 15m di altezza; gli abitanti potete chiamarli, alternativamente, come più vi piace, Estensi o Atestini. Nel Museo, che come dicevamo, è uno dei più importanti, sono conservati notevoli reperti della civiltà atestina, alcuni dei quali Vi mostriamo in ordine sparso; e via via, fino ai Romani, attraverso vetrine colme di testimonianze fondamentali per capire questa Terra.

Per incuriosirVi e dunque spronarVi ad una visita preziosa; in fondo all’articolo troverete recapiti ed indirizzi, come d’abitudine consolidata. Ricordate che stiamo parlando di un Complesso che ben documenta il fiorire della civiltà italica, ancora ai vagiti, ma che presto avrà voce, per essere ricordata; autentici capitoli iniziali, che il vero amante della nostra Penisola non può ignorare.

Per incuriosirVi e dunque spronarVi ad una visita preziosa; in fondo all’articolo troverete recapiti ed indirizzi, come d’abitudine consolidata. Ricordate che stiamo parlando di un Complesso che ben documenta il fiorire della civiltà italica, ancora ai vagiti, ma che presto avrà voce, per essere ricordata; autentici capitoli iniziali, che il vero amante della nostra Penisola non può ignorare.
Occupata dei Veneti all’inizio del I millennio a.C., divenne presto un importante centro commerciale e sviluppò una fiorente industria metallurgica che le permise di farsi conoscere e rispettare.


Sfuggita sia alla dominazione etrusca, sia a quella celtica, come detto, durante il III sec. si alleò ai Romani contro Galli e Cartaginesi e venne infine annessa pacificamente a Roma nel 184 a.C.. Ottenuta da Cesare la cittadinanza romana e ascritta quindi alla Tribù Romilia nel 49 a.C., ricevette da Augusto una colonia di veterani. Il resto è un’altra storia…
CIVILTÀ ATESTINA dal nome latino di Este, è detta atestina quella civiltà sviluppatasi per più secoli durante l’età del ferro, con centro principale ad Ateste (Este). È una naturale emanazione del popolo dei Veneti, stabilitisi sui Colli Euganei, come detto sopra, all’inizio del millennio; la sua cronologia è divisa in più periodi che si concludono con l’annessione a Roma.

I suoi manufatti provengono quasi esclusivamente dalle necropoli, a testimoniarci, tra l’altro, che il rito funebre fu pressoché sempre quello dell’incinerazione. Sono in massima parte bronzi e vanno dalle situle sbalzate o incise alle statuette a fusione piena; ma, come vediamo, non si disdegna il materiale fittile.

I suoi manufatti provengono quasi esclusivamente dalle necropoli, a testimoniarci, tra l’altro, che il rito funebre fu pressoché sempre quello dell’incinerazione. Sono in massima parte bronzi e vanno dalle situle sbalzate o incise alle statuette a fusione piena; ma, come vediamo, non si disdegna il materiale fittile.
Il disegno appare sempre stilizzato, con caratteristiche anche proprie e la decorazione si svolge spesso con motivi geometrizzanti.
I prodotti hanno subito successo e grande diffusione: si estendono a tutto il Veneto, comprendendo inoltre, il Trentino, l’Alto Adige, il Tirolo, l’Istria e giungono a Sud fin nell’Emilia nel territorio di Felsina.

Ora i RINGRAZIAMENTI. Un pensiero affettuoso alla direttrice, Dottoressa Federica Gonzato, che ci ha degnato di considerazione e, speriamo, stima, malgrado la gran mole di lavoro che La sovrasta e La subissa. Ci siamo visti recapitare tutto il materiale richiesto con fulminea efficienza e con dovizia di spiegazioni, commenti e annotazioni. Coadiuvata dal personale che con cortesia ha risposto alle nostre esigenze: fosse sempre così.
In ultimo, ma non ultimo, il ringraziamento alla paziente consorte, Professoressa Vallone; senza il Suo apporto, sarebbe davvero dura, troppo dura.


DOVE SI TROVA. Il Museo Nazionale Atestino di Este si trova in Via Guido Negri, 9/c - 35042 Este (Padova), tel. 39 0429 2085 - fax 39 0429 603996, e-mail:
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
, sito web http://www.atestino.beniculturali.it
CREDITI. Le immagini dei reperti, fornite dal sito del Museo Atestino, sono una scelta redazionale, come del resto altre foto ricavate dalla rete; i testi in corsivo sono una gentile concessione della Dottoressa Gonzato, così come i disegni nel testo e la foto della ochetta sono dello stesso Museo. Il disegno del titolo è di Sergio Murli.


Ricordiamo alla splendida Dott. Gonzato, che il nostro è stato un apporto ben misero, sicuramente e fatalmente inesatto; se Ella individuasse magagne e manchevolezze gravi, sarà un doveroso obbligo riparare al Suo malcontento con immediate correzioni.
CONCLUSIONI. La Pasqua è passata da poco, ma molti l’avranno già dimenticata. Peccato, perché questi sono momenti di pace che dovrebbero accompagnarci nel tempo, per molto.
Con coraggio andiamo tutti avanti; anche contro i contrattempi, la cattiveria (altrui), la salute malsana, i traslochi…
A maggio, sempre se Dio sarà d’accordo.